Secondo l'Osservatorio sull'abitare sociale, il patrimonio immobiliare del Comune di Napoli ha un valore di 1,081 miliardi di euro ma rende solo 1,7% del suo valore - di Antonio Crispino /CorriereTv
Se chiedete quanti immobili pubblici hanno un regolare contratto di affitto, al Comune di Napoli vi diranno che non lo sanno: «Stiamo verificando». Se domandate quante sono le case vuote pubbliche vi risponderanno lo stesso: «E' difficile, le dobbiamo individuare». Se infine chiedete di consultare l'elenco dei canoni riscossi per ogni singolo immobile vi diranno che «…non è possibile perché manca un software aggiornato capace di aggregare tutti i dati». E questo nonostante da tre anni ci sia una nuova società pubblica, la Napoli Servizi (che costa 34 milioni di euro l'anno) a gestire il patrimonio immobiliare napoletano. Sostituisce la Romeo Gestioni dell'avvocato Alfredo Romeo (che, tra gli altri, gestisce anche il patrimonio del Comune di Roma) e che ha lavorato a Napoli per un ventennio.
Una situazione di stallo certificata anche dalla Ragioneria generale dello Stato che in una relazione scrive: «Non risultano tutt'ora approvati, a seguito di un contenzioso con il vecchio gestore, i rendiconti degli anni 2010, 2011, 2012, 2013 e 2014». Così come i Revisori dei conti del Comune denunciano di non ricevere l'adeguata documentazione da parte della società di servizi totalmente partecipata dal Comune. Accuse a cui l'amministratore unico della società Domenico Allocca risponde così: «Io sono in carica solo da due anni. Non ho mai presentato rendiconto perché non me lo hanno mai chiesto. Tra l'altro vorrei che mi spiegassero che cosa intendono per "rendiconto". Meglio che non mi fanno parlare, diventerei pericoloso perché conosco benissimo le loro responsabilità».
Secondo l'Osservatorio sull'abitare sociale, il patrimonio immobiliare del Comune di Napoli ha un valore di 1,081 miliardi di euro ma rende solo 1,7% del suo valore. Infatti gli ultimi dati forniti dalla società di gestione immobiliare indicano un incasso mensile medio di 1,2 milioni di euro, frutto unicamente delle locazioni. Vale a dire circa il 55% delle bollette emesse. La restante parte sono persone che non pagano o contenziosi che si trascinano da anni. Un dato che non sorprende e che alcuni ritengono anche sovrastimato visto che fino al 1990 il Comune di Napoli sapeva di possedere solo 5300 immobili dei circa 30.000 esistenti, cifra a cui si arriva appena sei anni fa. Alle abitazioni sconosciute al censimento vanno aggiunte quelle occupate abusivamente. Sono il 13%. E poi c'è un dato che sfugge a tutte le statistiche: gli appartamenti gestiti dalla camorra. Sono quelli dove abitano i boss, gli affiliati, le "paranze". E coincidono quasi sempre con i loro centri di potere.
«Basta guardare la mappa criminale disegnata dalla Direzione Investigativa Antimafia per accorgersi che ogni clan controlla una porzione di alloggi popolari, sia per una questione di potere ma soprattutto perché il territorio da comandare deve essere sicuro» denuncia Domenico Lopresto, segretario cittadino dell'Unione Inquilini. Il riferimento è a qualche anno fa quando centinaia di nuclei familiari, dalla sera alla mattina, furono deportati da via Comunale limitone d'Arzano. «Lo prevedeva la faida di camorra - continua Lopresto -, chi non era allineato al clan non poteva risiedere nello stesso quartiere, men che meno nello stesso palazzo del boss». Lo conferma anche il procuratore aggiunto della DDA di Napoli Giuseppe Borrelli: «Diverse inchieste hanno accertato che soprattutto nella zona orientale della città i clan gestiscono l'ingresso e l'uscita dalle case popolari. Dopodiché, però, nulla è cambiato».
In altri casi la camorra ha trovato uno stratagemma legale. «C'era una legge regionale del 2000 che consentiva la voltura a favore di chi per almeno due anni risultava nello stato di famiglia di un altro soggetto- spiega Alessandro Fucito, assessore al Patrimonio del Comune di Napoli -. Ci fu un boom di richieste da parte di persone che chiedevano il subentro al posto del legittimo assegnatario che, guarda caso, sceglieva di andare a vivere altrove lasciando libero l'appartamento». Qualcosa oggi è cambiato, c'è una delibera che mette mano al mare delle morosità, una maggiore attenzione nelle assegnazioni di nuovi alloggi (circa settanta nuove assegnazioni sono state bloccate per infiltrazioni dei clan al rione De Gasperi) e un nuovo impulso per giungere a una rendicontazione patrimoniale più efficace.
Anche se persistono situazioni paradossali, come un'organizzazione scoperta da poco che affittava appartamenti comunali a studenti dell'università. Ma c'è un'altra legge regionale di cui nessuno parla, quella che prevede la decadenza dal titolo di assegnatario per coloro che hanno ricevuto una condanna per associazione camorristica. «Stimiamo che sono almeno 5000 le persone appartenenti ai clan, condannate e che dovrebbero essere cacciate via - denuncia Lopresto -. Al Comune ci ripetono che non sanno dove sono ma è abbastanza inverosimile visto che il gestore delle case popolari ogni mese spedisce loro il bollettino per pagare l'affitto. Basterebbe chiedere alla Prefettura il casellario giudiziario di chi le abita. L'ultima volta che ho sollecitato questo intervento mi hanno risposto che ci sono problemi tecnici che impediscono di procedere».
Lo andiamo a chiedere a un dirigente comunale muniti di una telecamera nascosta e quello che risponde è abbastanza sconcertante: «Problemi dal punto di vista tecnico non ne vedo, piuttosto manca la volontà di farlo perché sarebbe una manovra di guerra, una dichiarazione di guerra. Se io oggi faccio un provvedimento di decadenza nei confronti del camorrista di turno e non lo eseguo, lei capisce che boomerang diventa questa cosa? Perché io non lo eseguo. Oggi almeno posso dire "non so chi siano"…». E poi ci saluta segnalandoci che il problema vero è l'infiltrazione all'interno della macchina comunale: «Sarno non è un cognome qualunque, nel momento in cui ricevi una richiesta con questo nome, vuoi chiedere un certificato?». Una dichiarazione che fa il paio con un altro fuorionda, stavolta dell'assessore Fucito: «Sa quante volte ho segnalato queste situazioni alla Prefettura? Proposi gli sgomberi al prefetto Musolino, mi rispose "Ma no, ma che ci mettiamo a fare?". La verità è che sono dei cialtroni, non si attivano». Poco dopo un altro dipendente comunale rincara la dose: «Abbiamo inviato segnalazioni precise di compravendite (di alloggi, ndr) con i nomi dei soggetti ma la Prefettura e la Questura non ci hanno mai convocato, non lo ritengono meritevole di attenzione». 22 GIUGNO 2016LINK
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